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Esperienze della Svizzera – collocamenti extrafamiliari

Museo nazionale Zurigo | 5.7.2024 - 27.10.2024
Data di pubblicazione 5.7.2024

Fino agli anni Ottanta, in Svizzera i bambini venivano sottratti ai genitori o a chi si prendeva cura di loro e affidati a famiglie affidatarie o adottive. Molti di loro hanno subito violenze e abusi. Dieci testimoni diretti raccontano le loro storie personali in un’installazione video.

Solo nel XXI secolo è giunto alla ribalta dell’opinione pubblica un capitolo oscuro della storia svizzera: l’ingerenza dello Stato nella vita delle persone i cui comportamenti non corrispondevano alla norma sociale con cosiddette misure coercitive a scopo di assistenza. Ad essere colpiti non furono solo gli adulti, ma fino agli anni Ottanta anche centinaia di migliaia di bambini e giovani. Quest’ultimi furono sottratti ai genitori o a chi si prendeva cura di loro – spesso contro la loro volontà – e affidati a istituti e famiglie affidatarie o adottive. In molti casi, chi fu oggetto di queste misure ha sofferto gravemente e la sua integrità fisica, psicologica o sessuale o il suo sviluppo mentale sono stati direttamente e gravemente pregiudicati.

Alle collocazioni extrafamiliari dei bambini e dei giovani in Svizzera è dedicata la seconda edizione del formato «Esperienze della Svizzera» al Museo nazionale Zurigo. «Esperienze della Svizzera» non presenta oggetti e consiste in una proiezione di grande formato e immersiva con audio in cuffia e in una postazione di approfondimento che contestualizza il tema collocandolo nella storia culturale. Al centro ci sono i racconti di dieci testimoni diretti.

Armin (*1927) racconta, ad esempio, che la madre non sposata fu costretta a darlo in adozione. Dopo un soggiorno nell’orfanatrofio di Thalwil, visse per due anni con una famiglia affidataria, prima di essere collocato nel 1934, per motivi di costi, nel riformatorio «Sonnenberg» di Kriens (LU). Nell’istituto Armin e altri bambini dovettero subire punizioni corporali e psichiche. Solo a partire dai 18 anni Armin poté finalmente decidere autonomamente della propria vita.

Un destino altrettanto crudele è toccato a Uschi (*1952), che fu sottratta alla madre jenisch e come Armin collocata in famiglie affidatarie, orfanatrofi e riformatori. Dopo anni di abusi, la quattordicenne venne violentata dallo zio. Mentre quest’ultimo riuscì a cavarsela senza punizione, Uschi fu internata nel riformatorio «Zum guten Hirten» (Dal buon pastore) di Altstätten (SG). Oltre 3500 pagine di documenti testimoniano i pregiudizi contro gli jenisch da parte delle autorità e del personale degli istituti.

I dieci testimoni diretti rappresentano centinaia di migliaia di persone colpite in Svizzera. Per le interviste sono state scelte persone provenienti da tutte le regioni del Paese. Nessuno di loro raccontava per la prima volta la sua esperienza. Ci vuole coraggio per parlare di un vissuto difficile e traumatico davanti a una telecamera. Tanto più importanti sono i loro racconti e il loro impegno per elaborare quanto avvenuto, facendo valere i diritti delle persone colpite.

L’istallazione video può essere vista dal 5 luglio al 27 ottobre 2024 e dal 17 gennaio fino al 13 aprile 2025 al Museo nazionale Zurigo.
 

Il tema delle misure coercitive a scopo di assistenza e dei collocamenti extrafamiliari è stato approfondito scientificamente negli ultimi anni. Tra l’altro, il programma nazionale di ricerca 76 «Assistenza e coercizione» (PNR 76) si è occupato dei meccanismi di cura e coercizione nel passato, nel presente e nel futuro. Come passo successivo, l’Ufficio federale di giustizia promuove e sostiene progetti per divulgare i risultati della ricerca scientifica. Tra questi una mostra itinerante nazionale che sarà inaugurata nell’ottobre 2025 al Musée Historique Lausanne e sarà esposta in varie altre sedi fino alla fine del 2027. L’attuale installazione al Museo Nazionale Zurigo non è legata a questa mostra itinerante, ma intende essere un contributo alla conoscenza di questo capitolo della storia svizzera.

Immagini

Regole

Con l’internamento, le persone perdono la loro libertà individuale e il loro diritto ad avere una sfera privata e devono sottostare a un’organizzazione gerarchica. Spesso crescono isolate o in comunità e hanno poco o nessun tempo libero. Dormitorio nella «casa di rieducazione al lavoro» di Bellechasse, Sugiez (FR), anni Quaranta

Staatsarchiv Freiburg

Regolamenti interni

La vita quotidiana è scandita da ritmi precisi e tutto ruota attorno al lavoro. Le amicizie all’interno della casa e i contatti con il mondo esterno non sono permessi e la corrispondenza viene censurata. Solo negli anni Sessanta le convinzioni pedagogici cominciarono gradualmente a cambiare. Casa Pestalozzi Redlikon, Stäfa, 1955, Foto: Eduard Bodo Schucht

Baugeschichtliches Archiv der Stadt Zürich, BAZ_032975

Attuazione delle misure coercitive

Oltre alle autorità comunali per l’assistenza ai poveri e la tutela, sono coinvolti, a seconda della situazione, numerosi uffici, servizi e istituzioni, nonché istituti privati ed ecclesiastici, uffici di adozione e famiglie affidatarie. I diversi attori riducono l’onere finanziario a carico della collettività, ma ostacolano la supervisione e il controllo. Due suore con i bambini di un orfanotrofio del Vallese, intorno al 1930-1940. Foto: Paul Cattani

Museo nazionale svizzero

Lavoro coatto

L’educazione al lavoro è importante. L’obiettivo è ridurre al minimo il numero di persone che dipendono dall’assistenza pubblica. Ciò vale sia per i bambini che per gli adulti. Il lavoro viene svolto sotto costrizione e senza che sia prevista una retribuzione. Atelier nell’istituto per ragazze «Lärchenheim» a Lutzenberg (AR). Foto: Reto Hügin

StAAG/RBA1-1-8848_1

Les enfants aussi travaillent dur

Molti istituti sono annessi ad aziende agricole in cui anche i bambini sono costretti a un lavoro sfiancante. È così possibile ridurre i costi per il personale. Spesso i bambini non ricevono un’istruzione scolastica adeguata. Non c’è alcuna possibilità di avanzamento sociale e l’istruzione si basa sui ruoli di genere e sulla disponibilità di posti, non sui desideri dei bambini. Bambini e assistenti dell’istituto giovanile «Gott hilft» di Zizers (GR) in un campo di patate, intorno al 1920

Stiftung Gott Hilft, Zizers

Inermi

Le autorità o i supervisori impediscono a molti bambini internati di avere contatti con i loro genitori o parenti stretti. Mancano persone di riferimento su cui fare affidamento. L’assenza di protezione porta spesso i bambini internati a essere vittime di violenza verbale, psicologica, fisica e sessuale. Ragazzi dediti all’igiene serale nei lavandini comuni del «Rettungsanstalt zur Aufnahme der verwaisten und verwahrlosten Jugend» (Istituto per orfani e giovani abbandonati) di Oberflachs (AG), 13 novembre 1943.

Keystone/EB (Immagine numero 60566323 può essere ottenuta da Keystone)

«Bambini della strada»

Diverse centinaia di migliaia di persone sono oggetto di misure coercitive a scopo assistenziale, in particolare poveri, jenish, tossicodipendenti, ragazze madri e donne divorziate e i loro figli, orfani e disoccupati. L’organizzazione umanitaria «Kinder der Landstrasse» separa sistematicamente i bambini jenish dalle loro famiglie e li colloca in istituti o famiglie affidatarie. Alfred Siegfried, fondatore dell’organizzazione umanitaria «Kinder der Landstrasse», ispeziona i denti di una bambina jenish a Ilanz, 1953. Foto: Hans Staub

Keystone / Fotostiftung Schweiz (Immagine numero 417306953 può essere ottenuta da Keystone)

Sguardo sulla mostra

Museo nazionale svizzero

Sguardo sulla mostra

Museo nazionale svizzero

Contatto per la stampa e Museo nazionale Zurigo

+41 44 218 65 64 medien@nationalmuseum.ch